Il concetto di Libertà negli anni della Presidenza Reagan e della Seconda Guerra Fredda
1.6 - Il Ritorno della Guerra Fredda:
una nuova fase di tensione internazionale
Ronald Reagan intendeva restaurare la supremazia militare degli USA
riprendendo la sfida bellica e ideologica contro l’URSS: “l’America è diventata
una potenza di secondo piano a cui bisogna ridare lustro e prestigio” dichiarò
in campagna elettorale. Nel corso degli anni Settanta l’URSS sotto la guida di
Leonid Brezhnev – leader indiscusso del Partito Comunista Sovietico dal 1964 al
1982 – aveva potenziano il proprio arsenale militare scalzando il primato americano.
Nonostante la distensione operata da Richard Nixon, Gerard Ford e Jimmy Carter
– culminata con la firma degli accordi SALT I (maggio 1972) e SALT II (giugno
1979) per la limitazione delle armi strategiche – la crisi della politica
kissingeriana fu evidente alla fine del decennio. Nel dicembre 1979 l’Unione
Sovietica avviò l’invasione militare dell’Afghanistan con l’obiettivo
dichiarato di restaurare il governo filosovietico da poco sconfitto nel corso
delle libere elezioni. Per la prima volta dal 1945 l’esercito dell’Armata Rossa
iniziava l’occupazione di territori non compresi nei paesi membri del Patto di
Varsavia (1955). La reazione statunitense fu dura e poco dopo Carter annunciò
il boicottaggio dei Giochi Olimpici di Mosca (1980) da parte degli atleti
americani, senza sortire grandi risultati. Nonostante la distensione, secondo i
repubblicani neo-conservatori l’URSS non stava rispettando gli accordi SALT e
gli USA stavano perdendo rapidamente terreno nei confronti del diretto
avversario. La presidenza Carter aveva visto un importante successo nel
raggiungimento degli accordi di Camp David (marzo 1979) con il trattato di pace
tra Egitto e Israele, ma la Rivoluzione Islamica in Iran, nazione
tradizionalmente filooccidentale operata dall’ayatollah Ruhollah Khomeini – che
vedeva nell’America l’incarnazione del male dell’Occidente, il “grande satana”
– portò alla destituzione dello scià di Persia Mohammad Reza Pahlavi e alla già
citata crisi degli ostaggi dell’ambasciata di Teheran, la cui maldestra operazione
di salvataggio organizzata da Carter terminò con l’abbattimento di un
elicottero americano nel deserto persiano, immagini trasmesse dalle televisioni
di tutto il mondo che indebolirono ulteriormente l’immagine del presidente
americano. Apparve evidente la crescente difficoltà degli Stati Uniti nei
confronti dell’Unione Sovietica e di un nuovo fattore emergente nello
scacchiere internazionale: il Fondamentalismo Islamico. Nell’ultimo anno in
carica al governo, l’amministrazione Carter aveva progressivamente abbandonato
la distensione irrigidendo il proprio atteggiamento di fronte allo storico
avversario. L’equilibrio del terrore era nuovamente a rischio.
La politica estera aprì il confronto televisivo tra Carter e Reagan nella campagna elettorale per le elezioni presidenziali del 1980. Il repubblicano propose una visione autoritaria e decisa verso una prevenzione e una gestione delle situazioni critiche prima che potessero trasformarsi in crisi serie. Convinto della supremazia del Capitalismo sul Comunismo, Ronald Reagan si fece promotore di un anticomunismo senza limiti, in particolar modo durante il suo primo mandato alla Casa Bianca. Dove nasceva questa convinta opposizione all’ideologia marxista-leninista propagata dall’impero sovietico? Nel corso di un colloquio privato con il presidente francese François Mitterand, annotato nei Reagan Diaries, il presidente americano capì sorprendentemente che “essere socialisti non voleva dire necessariamente essere comunisti”. Risulta chiaro che l’anticomunismo di Reagan non poggiava su una reale conoscenza del modello politico antagonista; il presidente era maturato nel turbinio degli stereotipi più diffusi della retorica antisovietica dei tempi della retorica del Maccartismo dei primi anni Cinquanta e da lì in avanti non si era granché discostato, irrigidendo le proprie posizioni contro lo storico antagonista sovietico.
Negli anni Ottanta, la figura di Ronald Reagan ha dato un contributo fondamentale alla fine della Guerra Fredda. Quando il muro di Berlino venne abbattuto nella notte del 9 novembre 1989, Reagan aveva lasciato la Casa Bianca da pochi mesi, eppure venne proclamato “vincitore morale della Guerra Fredda” secondo il giudizio di diversi storici ed esperti. L’anziano presidente avrebbe pianificato con cura le proprie mosse in politica estera per portare rapidamente al declino e al tracollo l’Unione Sovietica, vincendo la battaglia decisiva “senza sparare un solo colpo” come ebbe modo di affermare Margaret Thatcher in un tributo in occasione della sua scomparsa a 93 anni dopo una lunga battaglia contro il morbo di Alzheimer, avvenuta il 5 giugno 2004. Tuttavia molte tesi sul ruolo fondamentale giocato da Reagan sono state a lungo dibattute, argomentate, smentite e riaffermate. A 20 anni di distanza dalla fine della Guerra Fredda, i giudizi storici sono divisi più che mai. Altre tesi sostengono al contrario che l’economia sovietica era già avviata al tracollo, quindi Reagan non avrebbe fatto nulla se non rilanciare la competizione in tema di armamenti bellici. Certamente però Reagan era intimamente convinto della forza e della superiorità dell’American Way of Life, del Capitalismo occidentale, del modello e dei valori americani. L’avvento dell’industria dell’elettronica, della tecnologia sofisticata e del personal computer avrebbero costituito una fonte di attrazione a cui i paesi del blocco orientale difficilmente si sarebbero sottratti.
1.7 - La Retorica dell’Impero del Male e le Guerre Stellari
Il primo mandato (1981-1985) fu caratterizzato come abbiamo visto in introduzione dall’apertura di una nuova fase di tensione internazionale e corsa agli armamenti: la Seconda Guerra Fredda. Reagan impose sanzioni economiche all’Unione Sovietica in seguito all’istituzione della legge marziale in Polonia nel dicembre 1981. L’anno 1983 segnò il punto massimo di escalation nei rapporti diplomatici tra USA e URSS. L’8 marzo 1983, in occasione di un intervento pubblico all’Associazione Evangelica Nazionale a Orlando (Florida), Reagan pronunciò il celebre discorso in cui definì l’Unione Sovietica l’impero del male (evil empire) nel contesto del congelamento degli armamenti tra le due superpotenze mondiali:
Quindici giorni più tardi, in un discorso alla
nazione trasmesso nella sera del 23 marzo 1983, il Presidente Reagan annunciò
il lancio del progetto per la costruzione di un sistema di difesa spaziale
– lo Strategic Defense Initiative (SDI) noto come Scudo Spaziale. Il piano di
Reagan –che prevedeva l’utilizzo di computer, satelliti, sensori, potenti laser
e componenti ad alta tecnologia – avrebbe garantito la sicurezza del suolo
americano da un attacco missilistico sovietico. I giornali di tutto il mondo
diedero ampio spazio alle guerre stellari di Reagan, utilizzando un
linguaggio di ispirazione cinematografica tratto dai film di fantascienza in
voga in quegli anni a Hollywood. In realtà la gestazione del grandioso progetto
reaganiano, del costo stimato in miliardi di dollari, sarebbe entrato in piena
funzione nell’ordine di 20-40 anni.
A partire dal 1985 lo scudo spaziale costituirà un punto centrale nei tre
colloqui sul disarmo tra Reagan e Gorbačëv, un vero e proprio spauracchio per i
sovietici, i quali fecero enormi pressioni sugli americani per un ripensamento.
In sostanza, dopo la fine della Guerra Fredda l’ambizioso progetto non venne
mai realizzato dati i costi astronomici proibitivi e le difficoltà logistiche
di realizzazione e messa in atto. Nella visita ufficiale di Reagan a Mosca
(gennaio 1988), a chi gli chiedeva se considerasse ancora quello sovietico un impero
del male, egli rispose: “no, parlavo di un altro tempo, un’altra epoca”.
La politica estera aprì il confronto televisivo tra Carter e Reagan nella campagna elettorale per le elezioni presidenziali del 1980. Il repubblicano propose una visione autoritaria e decisa verso una prevenzione e una gestione delle situazioni critiche prima che potessero trasformarsi in crisi serie. Convinto della supremazia del Capitalismo sul Comunismo, Ronald Reagan si fece promotore di un anticomunismo senza limiti, in particolar modo durante il suo primo mandato alla Casa Bianca. Dove nasceva questa convinta opposizione all’ideologia marxista-leninista propagata dall’impero sovietico? Nel corso di un colloquio privato con il presidente francese François Mitterand, annotato nei Reagan Diaries, il presidente americano capì sorprendentemente che “essere socialisti non voleva dire necessariamente essere comunisti”. Risulta chiaro che l’anticomunismo di Reagan non poggiava su una reale conoscenza del modello politico antagonista; il presidente era maturato nel turbinio degli stereotipi più diffusi della retorica antisovietica dei tempi della retorica del Maccartismo dei primi anni Cinquanta e da lì in avanti non si era granché discostato, irrigidendo le proprie posizioni contro lo storico antagonista sovietico.
Negli anni Ottanta, la figura di Ronald Reagan ha dato un contributo fondamentale alla fine della Guerra Fredda. Quando il muro di Berlino venne abbattuto nella notte del 9 novembre 1989, Reagan aveva lasciato la Casa Bianca da pochi mesi, eppure venne proclamato “vincitore morale della Guerra Fredda” secondo il giudizio di diversi storici ed esperti. L’anziano presidente avrebbe pianificato con cura le proprie mosse in politica estera per portare rapidamente al declino e al tracollo l’Unione Sovietica, vincendo la battaglia decisiva “senza sparare un solo colpo” come ebbe modo di affermare Margaret Thatcher in un tributo in occasione della sua scomparsa a 93 anni dopo una lunga battaglia contro il morbo di Alzheimer, avvenuta il 5 giugno 2004. Tuttavia molte tesi sul ruolo fondamentale giocato da Reagan sono state a lungo dibattute, argomentate, smentite e riaffermate. A 20 anni di distanza dalla fine della Guerra Fredda, i giudizi storici sono divisi più che mai. Altre tesi sostengono al contrario che l’economia sovietica era già avviata al tracollo, quindi Reagan non avrebbe fatto nulla se non rilanciare la competizione in tema di armamenti bellici. Certamente però Reagan era intimamente convinto della forza e della superiorità dell’American Way of Life, del Capitalismo occidentale, del modello e dei valori americani. L’avvento dell’industria dell’elettronica, della tecnologia sofisticata e del personal computer avrebbero costituito una fonte di attrazione a cui i paesi del blocco orientale difficilmente si sarebbero sottratti.
1.7 - La Retorica dell’Impero del Male e le Guerre Stellari
Il primo mandato (1981-1985) fu caratterizzato come abbiamo visto in introduzione dall’apertura di una nuova fase di tensione internazionale e corsa agli armamenti: la Seconda Guerra Fredda. Reagan impose sanzioni economiche all’Unione Sovietica in seguito all’istituzione della legge marziale in Polonia nel dicembre 1981. L’anno 1983 segnò il punto massimo di escalation nei rapporti diplomatici tra USA e URSS. L’8 marzo 1983, in occasione di un intervento pubblico all’Associazione Evangelica Nazionale a Orlando (Florida), Reagan pronunciò il celebre discorso in cui definì l’Unione Sovietica l’impero del male (evil empire) nel contesto del congelamento degli armamenti tra le due superpotenze mondiali:
La retorica reaganiana antisovietica e anticomunista
raggiunse proprio nel 1983 il livello massimo. La forza della dicotomia nella
contrapposizione tra il bene e il male – e tra ciò che è giusto e ciò che è
sbagliato – si può riassumere nell’opposizione frontale tra gli Stati Uniti e
l’Occidente – difensori della democrazia, della libertà, del Capitalismo – e
l’Unione Sovietica e il blocco orientale, regime totalitario di ispirazione
marxista-leninista in cui il modello del Comunismo opprime i propri cittadini nell’oscurità del Totalitarismo, nella lunga
notte del Comunismo sovietico rivoluzionario.
L’ideale conservatore rivela un principio di
autorità nelle istituzioni, nella chiesa e nella famiglia verso un ritorno alla
fede e alla morale. L’esperimento democratico iniziato dai Padri Fondatori
rivelò la scoperta della vita e della libertà conferite da Dio. L’America – nel
principio fondante “in God we trust” – non può che essere “la nazione eletta” portatrice del bene.
“Freedom prospers when religion is vibrant and the rule of law under God is
acknowledged” affermò Reagan nella convinzione del diritto alla vita, alla
libertà e alla ricerca della felicità. “America is in the midst of a spiritual awakening and a moral renewal”. La
morale conservatrice ritrovata include una forte disapprovazione circa
l’adulterio, i rapporti sessuali tra adolescenti, la pornografia, l’aborto e il consumo di sostanze stupefacenti. Tuttavia l’uomo è costretto ad affrontare
la fenomenologia del male e la dottrina del peccato: “there is sin and evil in the world, and we’re enjoined by Scripture and
the Lord Jesus to oppose it with all our might”. Ritorna il concetto americano di esportazione universale della
libertà: “especially in this century, America has kept alight the torch of
freedom, but not just for ourselves but for millions of others around the world
[…] we will never compromise our principles and standards. We will never give
away our freedom. We will never abandon our belief in God. And we will never
stop searching for a genuine peace […] The real crisis we face today is a spiritual one; at root, it is a test
of moral will and faith”.
A conclusione del suo intervento, Reagan annunciò
la prossima sfida dell’America e dell’Occidente profetizzando il destino già
segnato del declino e della caduta del Comunismo:
The
Western world can answer this challenge […] but only provided that its faith in
God and the freedom. He enjoins is as great as communism’s faith in Man. I believe
we shall rise to the challenge. I believe that communism is another sad, bizarre chapter in
human history whose last pages even now are being written. I believe
this because the source of our strength in the quest for human freedom is not
material, but spiritual. And because it knows no limitation, it must terrify and ultimately triumph over those who would
enslave their fellow man. […] Yes, change your world. One of our Founding
Fathers, Thomas Paine, said, “We have it within our power to begin the world over again”. We can do it,
doing together what no one church could do by itself.
![]() |
Copertina della rivista Time (Aprile 1983) |
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