Il concetto di Libertà negli anni della Presidenza Reagan e della Seconda Guerra Fredda
1.4 - “It’s Morning Again in America”. L’America negli anni Ottanta: gli USA
sotto Reagan
Prima di intraprendere un’indagine in termini specifici sul concetto di freedom in Reagan occorre procedere con una distinzione precisa in due fasi storiche distinte ma estremamente correlate tra loro. In estrema sintesi possiamo riassumere qui di seguito i principali avvenimenti storici che segnarono l’evoluzione e la gestazione della politica interna e della politica estera della lunga presidenza Reagan, evidenziandone gli aspetti più considerevoli e i tratti salienti:
Prima di intraprendere un’indagine in termini specifici sul concetto di freedom in Reagan occorre procedere con una distinzione precisa in due fasi storiche distinte ma estremamente correlate tra loro. In estrema sintesi possiamo riassumere qui di seguito i principali avvenimenti storici che segnarono l’evoluzione e la gestazione della politica interna e della politica estera della lunga presidenza Reagan, evidenziandone gli aspetti più considerevoli e i tratti salienti:
Primo Mandato (1981-1985) – Anticomunismo e riarmo
Nel corso della cerimonia ufficiale di
insediamento (20 gennaio 1981), il neo-eletto presidente enunciò un discorso di
forte impatto politico: “in the present crisis, government is not the solution
to our problem; government is the problem”. Nello stesso giorno i 55 funzionari
del governo americano membri dell’ambasciata di Teheran, tenuti in ostaggio da
mesi, furono rilasciati dopo 444 giorni di sequestro. Il 30 marzo 1981, a soli
69 giorni dall’entrata in carica, Reagan rimase gravemente ferito in un
attentato a Washington D.C. ma riuscì a scampare alla morte. In politica
interna il programma della Reaganomics promosse un liberalismo (o liberismo) incondizionato radicale mirando con fiducia e
ottimismo alla ripresa economica. Il presidente rilanciò l’economia attraverso
tagli alla spesa pubblica, in particolare sul programma del welfare, e abbassò le tasse. Nell’estate 1981 Reagan reagì con durezza contro i
sindacati licenziando in massa i controllori di volo che avevano promosso uno
sciopero non autorizzato. In politica estera l’abbandono della distensione tra
Stati Uniti e Unione Sovietica – compiuta negli anni Settanta durante gli anni
delle presidenze Nixon, Ford e Carter – portò a un inasprimento dei toni, a una
nuova corsa agli armamenti e all’installazione dei missili balistici a medio
raggio in Europa tra enormi polemiche. Reagan seguì una stretta politica autoritaria
anticomunista e aumentò fortemente le spese militari: il piano per un sistema
di difesa spaziale – lo Strategic Defense Initiative (SDI) noto come Scudo
Spaziale – costò miliardi di dollari. Attraverso la retorica dell’Impero del
Male, la Dottrina Reagan sostenne tutti i movimenti anticomunisti nel mondo
in America Latina e in Medio Oriente, incurante dei loro governi e del rispetto
dei diritti umani: all’intervento militare nella guerra civile in Libano
(1982-1984) seguì l’operazione sull’isola di Grenada.
Secondo Mandato (1985-1989) – Distensione e
colloqui sul disarmo
Nel novembre 1984 la vittoria schiacciante di
Ronald Reagan contro l’avversario Walter Mondale confermò la supremazia del
partito repubblicano e del movimento conservatore. Il presidente aumentò la lotta contro l’immigrazione clandestina, l’aborto e
l’abuso di droga (il programma “Just Say No” promosso da Nancy Reagan). Nello
scenario europeo, un anno dopo la crisi di Sigonella, gli Stati Uniti reagirono con estrema
durezza contro la Libia di Muammar Gheddafi – accusata di sostenere il terrorismo
internazionale dopo l’attentato alla discoteca di Berlino – bombardando la
capitale Tripoli. Nel novembre 1986 la vendita illegale di armi tramite Israele ai gruppi radicali islamici del
regime khomeinista in Iran per destinare i fondi ai guerriglieri controrivoluzionari Contras in
Nicaragua – lo scandalo Iran-Contras Affaire (Irangate) – divennero di dominio pubblico e
indebolirono il governo Reagan. Il presidente venne indagato da tre commissioni d’inchiesta
ma fu solo sfiorato dalla vicenda e riuscì a evitare l’impeachment. Alle
difficoltà interne si unirono la crisi della borsa di Wall Street (ottobre 1987) e il continuo aumento del
deficit pubblico. Al contrario, la politica estera costituì il
maggiore successo del secondo mandato. A partire dal 1985 gli USA di Ronald
Reagan intrapresero un nuovo dialogo con l’URSS di Michail Gorbačëv –
riformista, nuovo segretario generale del PCUS dopo la morte di Brežnev (1982),
Andropov (1984) e Chernenko (1985) – avviando nuovi colloqui sul disarmo ai
summit in Svizzera (Ginevra, novembre 1985), Islanda (Reykjavík, ottobre 1986) e in
America (Washington D.C., dicembre 1987). Memorabili le parole pronunciate da
Reagan davanti alla Porta di Brandeburgo a Berlino nell’ottobre 1987: “Mr.
Gorbačëv, tear down this wall”. In seguito a un accordo sulla riduzione dei missili a medio raggio e delle
testate nucleari nel mondo – l’Intermediate-Range Nuclear Forces (INF) – l’arsenali di armi
nucleari fu per la prima volta diminuito. Nonostante alcuni insuccessi sul fronte interno, nel
gennaio 1989 Reagan terminò il suo secondo mandato con un indice di popolarità
positivo su livelli costanti e molto alti, risultati ancora oggi ineguagliati
dai suoi immediati successori.
1.5 – Reaganomics, deregulation, laissez-faire
Ronald Reagan venne eletto Presidente degli Stati Uniti in un momento in cui l’America usciva da un decennio critico, gli anni Settanta, in condizioni di difficoltà economica. La crisi del petrolio del 1973 si ripresentò successivamente nel biennio 1978-1979 con un aumento considerevole del prezzo del greggio; migliaia di automobilisti americani furono costretti a percorrere lunghe file verso le stazioni di servizio. Nel 1971 l’allora presidente Richard Nixon decretò la fine degli accordi di Bretton Woods – ponendo fine alla convertibilità del dollaro in oro – che ebbe come conseguenza una drastica svalutazione del dollaro americano, l’alleggerimento del debito statunitense per ridare fiato al bilancio federale provato dalle spese militari e dalle perdite della guerra del Vietnam, l’instabilità dei cambi e l’aumento dei prezzi. Alla fine degli anni Settanta, durante la presidenza di Jimmy Carter, l’economia americana si trovava in fase di stagflazione: scarsa produttività degli apparati industriali, aumento vertiginoso dell’inflazione, diminuzione del prodotto interno lordo e, in particolar modo, aumento della disoccupazione, scioperi e problemi di natura sindacale. Sul bilancio federale pesavano enormemente i costi per i servizi pubblici di tipo assistenziali e sociali, ottenuti nel corso degli anni Sessanta grazie alle riforme di Lyndon Johnson.
Durante la campagna elettorale 1980, Jimmy Carter – presidente debole e indeciso, in corsa per la rielezione contro Ted Kennedy alle elezioni primarie del Partito Democratico – annunciava tempi difficili per l’America in piena austerity, vittima di una crisi di fiducia che minava il morale degli americani. Privi di prospettive incoraggianti per l’immediato futuro, occorreva tenere duro e auspicare in una lenta ripresa e nell’arrivo di tempi migliori. Al contrario, Ronald Reagan elogiò i successi economici ottenuti in California grazie all’applicazione del modello proposto da Arthur Laffer e dalla teoria della cosiddetta “curva di Laffer”. Il piano del candidato repubblicano prevedeva forti tagli alle imposte, alle tasse e, dunque, alla spesa pubblica. In realtà sappiamo che la California è uno stato molto particolare, quasi un’eccezione sé stante nel panorama statunitense, ma Reagan era fortemente convinto che l’esperimento californiano avrebbe funzionato con un’applicazione su un piano nazionale, facendo presa sugli elettori americani. La ripresa economica sarebbe stata prossima e, secondo Reagan, gli anni Ottanta avrebbero rappresentato una svolta decisiva per l’America, un decennio a cui gli americani avrebbero guardato con grande fiducia, serenità e ritrovato ottimismo. Nel gennaio 1981, il neo-eletto presidente promise di “scatenare il toro dell’economia”, applicando pienamente la filosofia del laissez-faire in campo economico.
Ronald Reagan venne eletto Presidente degli Stati Uniti in un momento in cui l’America usciva da un decennio critico, gli anni Settanta, in condizioni di difficoltà economica. La crisi del petrolio del 1973 si ripresentò successivamente nel biennio 1978-1979 con un aumento considerevole del prezzo del greggio; migliaia di automobilisti americani furono costretti a percorrere lunghe file verso le stazioni di servizio. Nel 1971 l’allora presidente Richard Nixon decretò la fine degli accordi di Bretton Woods – ponendo fine alla convertibilità del dollaro in oro – che ebbe come conseguenza una drastica svalutazione del dollaro americano, l’alleggerimento del debito statunitense per ridare fiato al bilancio federale provato dalle spese militari e dalle perdite della guerra del Vietnam, l’instabilità dei cambi e l’aumento dei prezzi. Alla fine degli anni Settanta, durante la presidenza di Jimmy Carter, l’economia americana si trovava in fase di stagflazione: scarsa produttività degli apparati industriali, aumento vertiginoso dell’inflazione, diminuzione del prodotto interno lordo e, in particolar modo, aumento della disoccupazione, scioperi e problemi di natura sindacale. Sul bilancio federale pesavano enormemente i costi per i servizi pubblici di tipo assistenziali e sociali, ottenuti nel corso degli anni Sessanta grazie alle riforme di Lyndon Johnson.
Durante la campagna elettorale 1980, Jimmy Carter – presidente debole e indeciso, in corsa per la rielezione contro Ted Kennedy alle elezioni primarie del Partito Democratico – annunciava tempi difficili per l’America in piena austerity, vittima di una crisi di fiducia che minava il morale degli americani. Privi di prospettive incoraggianti per l’immediato futuro, occorreva tenere duro e auspicare in una lenta ripresa e nell’arrivo di tempi migliori. Al contrario, Ronald Reagan elogiò i successi economici ottenuti in California grazie all’applicazione del modello proposto da Arthur Laffer e dalla teoria della cosiddetta “curva di Laffer”. Il piano del candidato repubblicano prevedeva forti tagli alle imposte, alle tasse e, dunque, alla spesa pubblica. In realtà sappiamo che la California è uno stato molto particolare, quasi un’eccezione sé stante nel panorama statunitense, ma Reagan era fortemente convinto che l’esperimento californiano avrebbe funzionato con un’applicazione su un piano nazionale, facendo presa sugli elettori americani. La ripresa economica sarebbe stata prossima e, secondo Reagan, gli anni Ottanta avrebbero rappresentato una svolta decisiva per l’America, un decennio a cui gli americani avrebbero guardato con grande fiducia, serenità e ritrovato ottimismo. Nel gennaio 1981, il neo-eletto presidente promise di “scatenare il toro dell’economia”, applicando pienamente la filosofia del laissez-faire in campo economico.
Il Neoliberismo (o Neoliberalismo) fu la ricetta adottata per rilanciare l’economia: riforme fiscali, riduzione netta delle tasse e delle tutele sociali, smantellamento dello Stato sociale – vale a dire dei servizi assistenziali e previdenziali a carico della pubblica amministrazione che i lavoratori e le classi popolari erano riusciti a conquistare negli anni Sessanta e Settanta –, deregulation completa dei mercati, eliminazione di tutti i vincoli di natura sindacale, amministrativa e fiscale, rigida politica monetaria deflattiva attraverso alti tassi d’interesse che, tuttavia, resero difficile l’accesso al credito. L’amministrazione Reagan optò per una drastica rivalutazione del dollaro con l’obiettivo di attirare capitali internazionali. Le risorse così liberate poterono essere impiegate nel sostegno e nel rilancio della produzione e agli investimenti privati. Allo stesso tempo, lo stato avrebbe ridotto il proprio bilancio in tema di assistenza sociale e di istruzione, privatizzando questi settori e ridando fiato alle spese militari. Parallelamente, si intervenne a modificare il sistema fiscale a vantaggio dei redditi alti, favorendo la crescita del risparmio che, attraverso il sistema bancario, confluiva nelle imprese per sostenere il bilancio. I tagli ai salari e alla spesa pubblica che ne derivarono inasprirono i conflitti sociali e scaricarono i costi della ristrutturazione sui ceti più deboli, creando nuove sacche di povertà. Il governo americano scelse la contrapposizione frontale nel tentativo di ridimensionare il peso politico del movimento sindacale. La ristrutturazione degli apparati produttivi in corso nei paesi avanzati ebbe inoltre effetti negativi sui paesi in via di sviluppo, accentuandone, da un lato, la dipendenza dal Nord industrializzato e dall’altro, il divario tecnologico.
Negli anni del Reaganismo, inoltre, vennero raccogliendo sempre maggiori adesioni nuovi valori, veicolati dai grandi mass media: si trattava di valori imperniati sui miti del benessere e della competizione sociale, sull’esasperato individualismo, sul militarismo unito al patriottismo americano e sull’efficientismo produttivistico, in netta antitesi con i precedenti valori solidaristici, egualitari e anticonsumistici che avevano prevalso nel decennio precedente.
Negli anni del Reaganismo, inoltre, vennero raccogliendo sempre maggiori adesioni nuovi valori, veicolati dai grandi mass media: si trattava di valori imperniati sui miti del benessere e della competizione sociale, sull’esasperato individualismo, sul militarismo unito al patriottismo americano e sull’efficientismo produttivistico, in netta antitesi con i precedenti valori solidaristici, egualitari e anticonsumistici che avevano prevalso nel decennio precedente.
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